‘Ecco perché nel ponte Morandi è ‘cementata’ tutta la nostra identità’

di Nicola Chiriano*

 

“Ho avuto il privilegio di far parte del Comitato Ponte50 che nel 2012, in maniera del tutto spontanea, si costituì per festeggiare il “giubileo” del Viadotto Bisantis, simbolo della nostra città. Già da allora, presenti le cariche istituzionali più importanti, segnalammo quanto fosse urgente procedere non solo al restyling di quello che è fuor di dubbio il più grande monumento del capoluogo, ma anche al risanamento dell’area che ad esso introduce dal lato via Turco. Da tempo ormai le luci sul ponte erano spente, e non solo per un modo di dire.

L’ EVENTO

Ci piace pensare che anche grazie a quell’occasione, culminata con un convegno e una mostra fotografica presso il MARCA, si riaccese la giusta attenzione sul nostro ponte. Ne sono testimonianza le oltre 125mila visualizzazioni totali attuali del documentario I cinquant’anni del Gigante. Memorie e ricordi del viadotto sulla Fiumarella realizzato con CatanzaroInforma, visualizzazioni certo amplificate da quel picco incredibile di metà agosto 2018 quando migliaia di internauti, alla ricerca di immagini del viadotto (Morandi) sul Polcevera a Genova, non si ritrovarono davanti a drammatici crolli ma al racconto romantico di una costruzione, dell’anima vera cioè del NOSTRO ponte Morandi, un’anima che non è solo di ferro e calcestruzzo ma è fatta di storie, di persone, di vite intrecciate a quella della realizzazione di quest’opera magnifica di uno dei padri dell’ingegneria strutturale mondiale. 

 

“Il ponte – afferma il prof. Riccardo Morandi nell’incipit di quel video – è per me una cosa bellissima! È forma pura ma anche concretezza, è una complessità di possibilità di realizzazioni”. Un ponte è di per sé metafora di unità, di superamento di barriere, di scavalcamento di divisioni. Per Catanzaro, il Bisantis urbanisticamente significò il collegamento con la sponda ovest e la Strada dei Due Mari, di cui è la formale conclusione con l’innesto al Centro Storico. Quante parole vane sono state spese sulla sua realizzazione, un po’ come quando del 1962, a soli tre anni dall’inizio dei lavori, l’opera venne conclusa e consegnata alla comunità dopo una imponente prova di carico. Erano numerosi gli scettici e gli increduli a ripetere il ritornello: “Mo cada!”.

ORA SOTTO CON PONTE60

 

No, non catta. Tra un anno lo rifesteggeremo con “Ponte60”.

In molti mi hanno chiesto – bontà loro – un’opinione personale sulla questione delle intercettazioni, su quel “Qua crolla tutto!” a causa dell’uso di malta (“cemento esterno” si può dire?) scadente per il rivestimento durante i lavori di restyling in corso. Non sono un magistrato né un ingegnere, so però che Riccardo Morandi previde, per il getto del calcestruzzo (“cemento interno” si può dire?) delle sponde dell’arco, un’operazione talmente delicata e precisa, maniacale direi, da farla durare tre mesi, con doppi turni  giornalieri di lavoro, “per evitare che deformazioni anche anormali inducessero nella struttura distorsioni”. Questo è quanto anche gli ingegneri continuano a dire e la cosa personalmente mi rassicura.

 

L’anima del ponte, anche quella concreta stavolta, ha cioè in sé le risposte. Fuor di metafora, esso è il simbolo della Catanzaro che sogno per una curiosità che non tutti conoscono: il calcestruzzo usato da Morandi contiene “ghiaia silicea di Catanzaro Lido, sabbia granitica del fiume Alli e cemento della cementeria di Catanzaro”. In altre parole, in quell’arco è “cementata” l’intera nostra comunità, tutto il nostro territorio che dai monti scende verso il mare, le tre valli del Corace, della Fiumarella e dell’Alli.

Per non far crollare questo, di ponte, è necessario un cemento senza scadenza alcuna. 

Nicola Chiriano

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