La lettera degli Amici di sempre
“C’era una volta il Catanzaro, quello che oggi non c’è più, perso nei meandri dei tanti social da seguire e fa autogol perdendo contatto con la realtà di sempre, quella che ha reso grande il nome della Città grazie alla sua squadra di calcio ed ai suoi protagonisti.
Nella centralissima chiesa di San Giovanni in cui, nel corso degli anni, abbiamo assistito all’addio alle fatiche terrene di tantissimi giallorossi doc (don Nicola Ceravolo, Guglielmo Papaleo, Raffaele Amato tra i tanti) è toccato salutare anche il medico sociale di sempre, l’istituzione Geppino Martino, signore dalle riconosciute doti umane e professionali, l’emblema del medico sportivo.
Il prof. Martino, trentatrè anni al servizio dell’U.S. Catanzaro e complessivamente cinquanta al servizio dello sport e della collettività sofferente, prima di cimentarsi nella politica del fare, dell’U.S. Catanzaro ha vissuto ascese, cadute e risalite ma sempre nell’ombra, dispensando consigli e dando sollievo a tutta la grande famiglia giallorossa, ha appena salutato tutti i giallorossi ma non è stato salutato da tutti. Strideva l’assenza eccellente della sua società di sempre. L’U.S. non c’era: assente, lontana, mancante.
Nessun simbolo giallorosso
Sul feretro nessuna sciarpa, ma nemmeno un nastrino giallorosso a ricordare i colori che ha amato e servito. In chiesa, per l’estremo saluto, tanti dei suoi ragazzi, via via curati e sanati. C’erano tanti amici, coi quali ha condiviso gioie e vicende terrene. C’erano tante persone normalissime che con Lui non avevano alcun rapporto se non quello comune del vessillo giallorosso. C’era Masino Amato, col quale ha sempre fatto coppia.
Il popolo giallorosso, come sempre, c’era. Mancava la società giallorossa, purtroppo non rappresentata da alcuno dei suoi numerosissimi esponenti. Così come mancava il gonfalone della Provincia, lontana poche centinaia di metri, dove Martino fu prestigioso presidente per diversi anni.
Il dispiacere dell’Associazione Catanzaro nel pallone è indignazione verso chi gestisce il presente dimenticando le radici, il Passato che ha contribuito al presente. I valori, i sentimenti non possono essere merce rara, hanno fatto grande il nostro Catanzaro. Quello di oggi sarà anche il Catanzaro ma è sempre meno nostro. E noi non ci stiamo
Gli Amici di sempre (Massimo Palanca, Adriano Banelli, Albino Barbuto, Enzo Minicelli, Pino della Torre, Salvatore Belfatto, Egidio Belfatto, Vanni lo Giudice, Michele Spagnuolo, Rotundo Ezio, Franco Chiarella, Edoardo Bisurgi, Carlo Talarico, Cesare Mauro, Antonio Doria, Michele Scarpino, Fausto Silipo, Filippo Rondinelli, Marco Giampà)
L’intervento di Franco Cimino
Con Geppino Martino è andato via uno dei pochissimi catanzaresi autentici rimasti a testimoniare, con coerenza di stile e comportamenti da gentiluomo, del valore della Catanzaro antica, la Catanzaro bella. Quella Città, cioè, rispettata ovunque e che nel resto del Paese riceveva affetto e simpatia. Anche nella Calabria dominata dalle rivalità campanilistiche, dal suo vento la Città si faceva portare attenzione e quasi un timore reverenziale, che le consentiva di essere riconosciuta, capoluogo o no, guida politica della regione.
Non solo medico
Un catanzarese vero
Poco si è detto, però, della sua autentica catanzaresità. Ossia, di quel suo amore profondo che lo legava come un aristocratico apparentemente distaccato, un popolano passionale, un abitante di quartiere( da Pontegrande a Marina), un intellettuale del centro storico, un cittadino “ inca…volato” e deluso per il progressivo indebolirsi del capoluogo. Di questo catanzarese che con finezza, eleganza ed educazione, non faceva mai mancare la sua protesta(con proposta) per la bellezza continuamente violata all’interno del territorio cittadino e, in particolare, per la progressiva perdita di ruolo e di prestigio della “sua Città” nel contesto sia regionale che nazionale, non si dice né tanto né con forza.
Dimenticanze ripetute
Non è la prima volta che nella nostra realtà accadono distrazioni di questo genere. Io le considero dolorose, perché è nella dimenticanza del valore dei propri cittadini che cresce e si stabilizza quella dimenticanza di sé in quanto comunità , che progressivamente fa di una città un non luogo, una non presenza, dimentichi del proprio vissuto. Sta qui una delle più profonde ragioni del distacco tra istituzioni e popolazione e, in questo contesto, tra gli stessi cittadini che perdono il senso di appartenenza. E quel sentimento antico di fratellanza che un tempo addolorava tutti quando uno del luogo ci abbandonava.
Per partire lontano. A lavorare. Più lontano ancora di ogni punto lontano. A danzare nel Cielo della piena felicità. Geppino Martino è andato proprio in questo posto. Di noi si è portato, oltre all’amore sconfinato di figli e nipoti, quella corona bellissima di rose gialle e rosse, timidamente carezzata da un nastro pure giallo e rosso con su scritti i nomi di Banelli, Silipo, Braca, Pellizzaro, Novembre, Palanca, Arbitrio, Ranieri, Nicolini, Spelta. I suoi ragazzi.
Commenta per primo