Potrebbe esserci anche una ipotesi di mobbing alla base della sparizione di una giovane dottoressa, in passato specializzatasi presso l’UMG di Catanzaro . “Siamo stati in silenzio troppi mesi. Ora vogliamo la verità” dicono i familiari all’agenzia LaPresse.
Emanuela Pedri, sorella di Sara, la ginecologa forlivese di 31 anni scomparsa il 4 marzo scorso dopo aver dato le dimissioni dall’ospedale di Cles, in Trentino racconta che “in un mese e mezzo mia sorella si è bruciata l’esistenza – racconta Pedri – Da ragazza forte, solare e con la gioia di potere far nascere dei bambini è arrivata a essere l’ombra di se stessa. Non dormiva, non mangiava: calo ponderale da stress da lavoro, ha certificato il medico di famiglia. Intendiamoci: non si è distrutta per il lavoro, ma per il forte disagio ambientale all’interno del reparto di ginecologia e ostetricia dell’ospedale di Trento, dove aveva avuto trasferimento per la chiusura da Covid del punto nascita di Cles. Poi, magicamente, dopo la presentazione del certificato medico il rientro a Cles”.
Mentre le ricerche della dottoressa proseguono a ritmo serrato, soprattutto nel lago di Santa Giustina, l’azienda sanitaria provinciale di Trento fa sapere che “subito dopo la sparizione un’indagine interna non ha portato correlazione la scomparsa con l’ambiente di lavoro.
La vicenda merita però un approfondimento”. “Da quando ho iniziato a chiedere la verità mi hanno contattata spontaneamente almeno venti ex colleghi di Sara – continua Emanuela Pedri – Tutti mi hanno confermato che nel reparto in questione ci sono condizioni pesanti. Al punto che, piuttosto che chiedere aiuto, ben undici professionisti hanno preferito chiedere il trasferimento o si sono licenziati.
Abbiamo raccolto tutte le testimonianze e il nostro legale, l’avvocato Nicodemo Gentile, ha presentato una corposa memoria in procura.
La verità è che Sara è stata umiliata, derisa, discriminata perché si era specializzata all’università di Catanzaro. Penso che abbia compiuto un gesto estremo. Sara pensava di essere una delusione. Nessuno, dei vertici ospedalieri, si è preso la responsabilità di farci una telefonata”.
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