Ringrazia il papà che gli ha messo in mano dei colori quando era piccolo, e tutti quelli che hanno avuto fiducia nel suo talento, diventato uno straordinario viaggio nella bellezza.
Lo sguardo di Roberto Giglio si sofferma sulle figure degli uomini e in particolare delle donne, ferme sugli usci delle case, e si allarga sui vicoli, sulle piazze vuote, sulle case abbandonate. Le sue pennellate sono luminose: raggi di luce che rischiarano le forme dei borghi abbandonati della Calabria e dei fantasmi che li popolano, facendo riemergere la memoria perduto.
Sono “Le forme dell’oblio”: è questo, infatti, il titolo della mostra dell’artista originario di Badolato, inaugurata sabato scorso negli spazi espositivi del piano inferiore del Museo MARCA, che potrà essere visitata fino al prossimo 31 agosto.
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Promossa dalla Fondazione Rocco Guglielmo in collaborazione con l’Amministrazione Provinciale di Catanzaro, l’esposizione, curata da Giorgio de Finis, antropologo e direttore del Museo delle Periferie di Roma, propone alla visione 35 opere pittoriche, alcune di grande formato, selezionate tra le più significative della produzione dell’artista, e oltre 90 disegni.
Alla conferenza stampa – tenuta nella sala panoramica del Museo Marca – assieme all’artista, al direttore artistico Guglielmo e al curatore De Finis, anche Giuseppe Sommario, direttore del Festival delle Spartenze e amico di Giglio conosciuto nel 2007, con il quale l’artista sta collaborando per dare vita ad una pubblicazione in cui saranno raccolte alcune opere corredate da testi che raccontano di questo viaggio nei borghi abbandonati.
Anche uno scritto di Sommario arricchisce il catalogo bilingue, edito da Silvana Editoriale per la collana “Quaderni del Marca”: il volume contiene anche i testi critici di Rocco Guglielmo, Giorgio de Finis e Mimmo Gangemi. Ma nel pubblico c’è anche l’architetto Pasquale Piroso, che Giglio ringrazia, come ha fatto con il pittore spagnolo Pedro Cano, che è diventato suo maestro. Piroso è stato fondamentale per la maturazione della sua cifra artistica lo porterà a sperimentare fusioni di linguaggio tra arte, artigianato e design.
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La mostra si apre con una sequenza di opere dedicate alla Calabria e riassume il percorso artistico di un architetto che a un certo punto della sua vita ha deciso di dedicarsi più compiutamente all’arte. Roberto Giglio, artista originario di Badolato – tanti i suoi concittadini presenti, a partire dal sindaco Francesco Severino – ha voluto rivolgere con “Le forme dell’oblio” un riconoscimento alla sua terra natia e non solo.
Utilizza il bianco e la luce per decostruire volti e architetture, nell’istintivo bisogno di cercare l’essenziale delle cose e della vita. Dipinge luoghi e persone sospesi nel mistero, nel dolore, nella bellezza, nella loro pura e semplice essenza, forme sospese tra cielo e terra, figura e astrazione, realtà e immaginazione, materia e spirito, centro e periferia, progresso e immobilità.
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Giglio mostra una sensibilità profonda per le arti visive, per la pittura e in particolare per l’acquerello, passando dalla figura all’informale. E per De Finis, antropologo e direttore del Museo delle Periferie di Roma, “i quadri guardano avanti e non solo indietro, e guardano ben oltre i confini del proprio territorio”.
“La mostra allestita al Marca riassume il percorso artistico di un architetto che ad un certo punto della sua vita ha deciso di dedicarsi più compiutamente all’arte – ha spiegato Guglielmo -. Giglio mostra una sensibilità profonda per le arti visive, la pittura ed in particolare l’acquerello, mezzo di transizione tra figurazione e astrazione, che gli offre un’estetica che pittura semplicemente non può raggiungere. Nella pittura di Giglio le figure si sottraggono alla tentazione della prossima assenza, come bastioni di difesa si ergono contro il declino della forma e lo smottamento delle linee. Ogni edificio, ogni paesaggio o volto si qualifica per un’architettura della resistenza, ma non al cambiamento e alle mutazioni del tempo, bensì al disvalore dell’intimità. Tutto è in lui introspezione, è ripiegamento interiore, è sintesi lirica”.
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“Quando io e Roberto abbiamo cominciato il nostro viaggio eravamo mossi dall’urgenza di ridare un senso ai paesi che noi stessi abbiamo lasciato, mossi dal bisogno di dare un volto ai fantasmi che si aggirano per i paesi, che in realtà sono i nostri fantasmi racconta Sommario -. La nostalgia e il dolore per un mondo che sta finendo in verità celano la paura per il futuro, rendono ancor più manifeste le nostre inquietudini.
Tormento che la pittura di Roberto tramuta in paesaggi rarefatti in cui l’umano sembra dissolversi in piena luce, ma è proprio in quella luce rarefatta che appare tutta l’umanità di Roberto Giglio. La sua pittura racconta il nostro camminare lento, rappresenta luoghi dove il tempo pare si sia fermato; luoghi che, così rappresentati, travalicano il ricordo soggettivo e diventa memoria collettiva.v Ora, noi non sappiamo se i paesi, i nostri paesi si salveranno, riprenderanno vite e forme nuove, non sappiamo se il nostro viaggio, i nostri racconti (fatti dei suoi acquerelli e dei miei scritti) incrociati e complementari contribuiranno alla “rigenerazione” delle aree interne”.
La mostra si inserisce nel più vasto progetto ideato dalla Fondazione Rocco Guglielmo, Glocal V, nella sezione Attraversare il Territorio, offrendo ancora una volta l’occasione per conoscere e apprezzare il dinamismo creativo di quegli artisti che si dedicano con passione ad arricchire il patrimonio culturale del territorio.
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